“Anselm”, il nuovo film di Wim Wenders, è un’opera prepotentemente filosofica e un omaggio a una creatività unica e tutta da scoprire. Un tripudio di estetica e significati profondi in cui arte e cinema dialogano alla pari
La prima sensazione che si prova davanti al nuovo documentario di Wim Wenders su Anselm Kiefer, Anselm, è una sorta di timore reverenziale nei confronti del lavoro di entrambi. Da un lato, l’imponente flusso materico che caratterizza le opere monumentali e affascinanti del pittore e scultore tedesco; dall’altra la magnificenza grandangolare (non è casuale la scelta del 3D) a cui Wenders si affida per raccontare in immagini una storia estetica ed esistenziale unica. Gli ambiti in cui si muovono i due sono diversi, ma il retroterra è simile: entrambi sono cresciuti nella Germania del dopoguerra e l’hanno in qualche modo raccontata nelle loro opere, entrambi ammirano la forza comunicativa dei paesaggi e degli ambienti (cinematografici, naturali, storici), entrambi hanno una visione artistica fortissima e personale. Wenders modella a sua immagine e somiglianza il medium con cui racconta i fatti, offrendo una prospettiva lenta, riflessiva e spettacolare; Kiefer diventa il vero motore di un film che vive di suoni ambientali e voci fuoricampo, carrellate e primi piani, vecchie video-interviste e riprese all’interno di mostre, colori toccanti e trasfigurazioni potenti in bilico tra dimensione reale e dipinto.
Artista contemporaneo forse non così noto al grande pubblico ma celebrato ad ogni latitudine e capace di conquistare le principali vetrine mondiali dell’arte, Anselm Kiefer diventa così il soggetto di un racconto che parte da lontano e arriva fino ai giorni nostri. In una ricostruzione biografica fatta per immagini, narrazioni in prima persona, versi poetici (su tutti, quelli di Paul Celan e Ingeborg Bachman) e scene recitate dai rispettivi figli (l’Anselm dell’infanzia è impersonato da Anton Wenders, quello giovanile da Daniel Kiefer), il film indaga sull’immaginario alla base dell’opera di un artista che ha saputo sorprendere e far discutere, sintetizzando nella sua produzione un’aspra critica al nazismo ma anche elementi legati alla storia, alla mitologia, all’astronomia, alla letteratura, all’architettura, alla religione, alla scienza e alla filosofia.
Con una rielaborazione quasi onirica della vita di Kiefer, che diventa una collezione di tessere di un mosaico ricomposto interamente solo al termine del film, Wenders descrive tutta la parabola performativa dell’artista tedesco: le fotografie giovanili di fine anni Sessanta (quelle della serie Besetzungen), quando il pittore si auto-ritraeva con indosso la divisa militare del padre mentre faceva il saluto hitleriano nei territori invasi dai nazisti durante la seconda guerra mondiale – suscitando le ire di una società tedesca che in quel momento storico voleva soprattutto dimenticare le colpe legate all’Olocausto; i primi quadri ambientati nella mansarda della sua casa; la scoperta di materiali come la paglia, il legno, la sabbia e il piombo, che diventeranno la base per gli immensi quadri e le imponenti installazioni architettoniche della maturità.
Un viaggio che non è solo artistico, ma anche dei luoghi. Quelli riproposti nelle opere di Anselm Kiefer, ma anche quelli in cui le opere stesse prendono vita. Ogni laboratorio in cui Kiefer lavora non è solo uno spazio, ma parte dell’opera d’arte: dalla fabbrica di mattoni in cui a un certo punto della sua carriera il pittore si trasferisce fino all’atto finale, a Barjac, in Francia, dove Anselm costruisce La Ribaute, ovvero una sorta di mostra permanente a cielo aperto (e calata anche nelle viscere della terra) in cui la grandiosità della sua arte prende forma tra serre di vetro, capannoni, tubi, torri, gallerie sotterranee e grandi spazi aperti, regalando allo spettatore attimi di pura emozione.
Ennesimo film prepotentemente filosofico di Wim Wenders e omaggio a una creatività unica e tutta da scoprire, Anselm è una pellicola che con la scusa di parlare d’arte finisce per riflettere sull’uomo e il suo destino. Esattamente come fa l’opera di Kiefer.