“The Substance” di Coralie Fargeat: il corpo come doppio

Un body horror riuscito che affronta il tema dell’ossessione per la bellezza e la giovinezza: calato in una realtà con regole proprie, “The Substance” di Coralie Fargeat si fa critica feroce dei nostri tempi grazie a un approccio alla materia spietato e surreale

Quanto è importante la bellezza del corpo nella società in cui viviamo? E quanto si è disposti a sacrificare per farla durare più a lungo possibile? Sembra partire da queste domande il secondo lungometraggio in carriera di Coralie Fargeat, The Substance, una riflessione amara in forma di body horror su come la ricerca ossessiva della perfezione estetica e della giovinezza generi un conflitto interiore insanabile e deleterio, esaltato dalle aspettative di chi ci sta attorno. In un mondo evidentemente maschilista come il nostro, il discorso vale soprattutto per le donne, chiamate a dover essere sempre all’altezza di ciò che il loro corpo promette, anche quando quest’ultimo cede inevitabilmente alle leggi della natura e del tempo. 

Elisabeth Sparkle (Demi Moore) è la conduttrice di uno show di aerobica di successo che a 50 anni viene scaricata senza troppi convenevoli dal misogino capo dell’emittente televisiva per cui lavora, Harvey (un “satanico” e caricaturale Dennis Quaid), con la scusa di aver fatto ormai il suo tempo. In seguito a un incidente stradale la donna finisce in ospedale e, conclusi gli accertamenti di routine successivi allo scontro, si ritrova nella tasca del cappotto una chiavetta USB che qualcuno le ha messo a sua insaputa. Il video contenuto nella chiavetta pubblicizza un trattamento miracoloso, appunto The Substance, capace di generare una versione più giovane di chi vi si sottopone attraverso una sorta di partenogenesi cellulare piuttosto estrema. Le premesse sono ben poco rassicuranti – i kit per attivare The Substance vengono distribuiti tramite un locker in stile Amazon – e le regole di ingaggio molto chiare: una volta iniziato il processo si dovrà rispettare un’alternanza ferrea tra il vero io e il clone generato (una “plasticosa” e spietata Margaret Qualley), e ognuna delle due versioni potrà a turno rimanere attiva solo per una settimana, per poi cedere il posto all’altra.

Sulla carta tutto facile, ma in realtà niente è come sembra: quali implicazioni potrebbe avere sulla personalità della matrice Elisabeth e del clone Sue il non poter vivere la propria vita per più di 7 giorni alla volta? “Ricorda che sei una sola”, recita il mantra che la protagonista si sente propinare dalla voce che risponde al telefono chiamando il numero stampato sulla chiavetta USB. Come dire che nelle vesti di clone o matrice sei sempre tu a decidere per il tuo futuro, a scegliere se privilegiare l’artificiale giovinezza generata da una endovena nel braccio (come se “la sostanza” fosse eroina, e immaginiamo che la scelta non sia casuale) o la vita reale di una cinquantenne. E per ogni decisione che prenderai, ci sarà sempre un prezzo da pagare.

Hai mai sognato una versione migliore di te stessa, più giovane, più bella, più perfetta?

The Substance

Dal film emerge un’etica quasi fiabesca sul modello delle opere originali e più violente dei fratelli Grimm, se ci passate il paragone azzardato: nella storia raccontata c’è un senso di spietatezza ma in fondo anche di irreprensibile giustizia che è più importante dei personaggi coinvolti. Come le favole, frutto della fantasia ma così vicine a noi quando si fanno veicolo di questioni morali importanti, anche il film di Fargeat è un’iperbole incastonata in un tempo e in un luogo indefiniti, oltre che un insegnamento mascherato da esempio negativo. Tutto, nella pellicola, è irreale: le scenografie e gli abiti hanno colori basici e ripetuti a oltranza (il giallo del cappotto di Elisabeth e della plastilina ritratta nel video esplicativo di The Substance; il rosso del sangue prodotto dai corpi che è anche il colore predominante del corridoio all’interno dell’edificio dell’emittente televisiva in cui sono appesi i poster promozionali di Elisabeth; il bianco del bagno dell’appartamento della protagonista e quello lindo e asettico del magazzino in cui la stessa recupera il kit per iniziare il trattamento; il rosa/fucsia degli abiti e del trucco del personaggio di Qualley); le inquadrature vivono di primissimi piani, dettagli strettissimi e soggettive in movimento che decontestualizzano di continuo, rimandando alla dimensione più intima dei personaggi; la musica è un’elettronica frammentaria che si spende tra cambi di dinamica improvvisi e timbri inquietanti di sintetizzatori.

A tal proposito, la stessa Fargeat ha dichiarato in un’intervista ad Another Mag: «Questo era uno degli aspetti più importanti, quando ho scritto la storia. Lavoro molto con il simbolismo; non ci sono molti dialoghi [nel film, ndr] e l’universo stesso è un personaggio per me. Il divertimento di avere questo mondo senza tempo era un modo per dire: “Ok, questa non è una storia su Los Angeles o sulla Hollywood di oggi”. La Hollywood del film per me è solo un simbolo del mondo».

Locandina italiana di “The Substance”

The Substance non è solo una sublimazione del desiderio di rimanere giovani per sempre portato alle estreme conseguenze, ma anche una metafora di come le nostre scelte siano costantemente influenzate dalle pressioni sociali che subiamo. Col passare dei minuti certe decisioni si rivelano errori clamorosi, gli errori si trasformano in danni irreparabili, ma alla protagonista manca comunque il coraggio di rinunciare al miraggio di una perpetua seconda giovinezza e di porre fine a quella che altro non è se non una violazione palese dei principi naturali. Il non sentirsi all’altezza o abbastanza desiderabile nella propria versione originale e invecchiata spinge Elisabeth a continuare con le stesse ingenuità, fino a una conclusione a suo modo commovente e volutamente sopra le righe che comunque non la riscatta: tutto quello che vuole, anche nell’ultima scena del film, è ancora e solo “polvere di stelle”, e non una vita reale lontana dalle telecamere in cui essere pienamente se stessa.

Elettronica come reazione chimica: Raffertie e la soundtrack di “The Substance

Se nello script di un film ci sono solo 29 pagine con dei dialoghi su 130 totali, significa probabilmente che in quella pellicola la parte visuale e quella musicale ricopriranno un ruolo fondamentale. The Substance non sarebbe stato lo stesso senza la soundtrack composta da Raffertie. Il musicista britannico raccoglie la sfida di valorizzare con un suono “ingombrante” un film che si rivela – parole di Demi Moore – «un’esperienza molto intima», e per cui organizza un commento musicale violento e crepuscolare al tempo stesso, emotivamente instabile e lucidamente cibernetico, sospeso tra ambient, droning, musica contemporanea ed elettronica. 

C’è un senso di inquietudine diffuso nei brani del disco che, secondo l’autore, ricalca le emozioni viscerali che il pubblico prova durante la visione di The Substance. Si va, ad esempio, dalle malinconiche progressioni di synth dell’iniziale Elizabeth Sparkle all’aggressione fisica in sbornia industrial-techno di The Substance, fino ad arrivare ai suoni “dall’interno” di una Activation fatta di rapidi cambi di soundscape, a mimare un processo di clonazione che diventa nella mente del musicista un climax traumatico di noise urticante ma chirurgico. Talvolta sembra di ascoltare le tensioni nervose messe in musica da Howard Shore ai tempi della soundtrack di The Fly (La mosca), ma gli archi e le orchestrazioni qui vengono sostituiti da suoni sintetici frammentari e repentini, fortemente riverberati, spesso portati all’estremo della scala dinamica e vicini all’industrial.

Il pregio maggiore di questa colonna sonora è quello di esaltare i toni angoscianti che si respirano nel film di Coralie Fargeat, grazie a un suono che mantiene dal primo minuto all’ultimo una grande drammaticità. Un paesaggio musicale geneticamente modificato, chimicamente alterato, capace di stordire come di glorificare, farsi vivida immagine e destabilizzare. Insomma, un piccolo capolavoro che rappresenta a suo modo la corteccia cerebrale di The Substance.

Il citazionismo come regola: i film dentro “The Substance”

(SPOILER DISCLAIMER: se non hai ancora visto “The Substance”, non leggere questa parte)

Cresciuta per sua stessa ammissione guardando film di genere – dai western agli horror, dalle pellicole sci-fi agli action movie – e con in testa modelli come David Cronenberg e David Lynch, Coralie Fargeat ha dichiarato in alcune interviste di ispirarsi per i suoi lavori a tutto ciò che le permette di andare oltre la realtà, «in un luogo con regole differenti rispetto a quelle della vita quotidiana». Quel che è certo è che se da un lato The Substance metabolizza la lezione di illustri antecedenti reinterpretandola sotto forma di evidenti omaggi, dall’altro suscita in chi lo guarda parallelismi tematici piuttosto interessanti che vanno anche oltre il semplice ambito cinematografico. Di seguito trovate alcuni appunti sparsi che prendono in considerazione citazioni ed easter egg raccolti durante la visione del film, ma la lista potrebbe essere molto più lunga:

  • Il tema della ricerca ossessiva della bellezza esteriore e della sua decadenza era già stato affrontato in maniera molto più goliardica in Death Becomes Her (La morte ti fa bella) di Robert Zemeckis. Il modo in cui viene sviluppato in The Substance, tuttavia, sembra avere più a che fare con ciò che si legge nel libro Il ritratto di Dorian Gray di Oscar Wilde: ciò che guadagni da una parte, lo perdi dall’altra. L’altro riferimento letterario potrebbe essere Lo strano caso del dottor Jekyll e Mr. Hyde di Robert Louis Stevenson.
  • Nelle fiabe le regole sono spesso divieti, e non rispettarle porta a guai seri. Ne sa qualcosa Billy Peltzer, quando per una serie di disattenzioni lascia che il mogwai che gli hanno regalato generi una stirpe di Gremlins violenta e inarrestabile. Nel film di Joe Dante i diktat erano 3: evitare di esporre il mogwai alla luce, non bagnarlo e non dargli da mangiare dopo la mezzanotte; in The Substance tutto si riassume nel mancato rispetto dei 7 giorni di vita concessi a turno alla Elisabeth originale e al suo clone. Una mancanza che anche qui genera mutazioni irreversibili
  • In più frangenti, il rapporto tra Elisabeth e il suo clone ricorda il legame che univa i gemelli cronenberghiani di Dead Ringers (Inseparabili)
  • Il deterioramento progressivo del corpo di Elisabeth/Sue non può non farci pensare a quello di Seth Brundle in The Fly (La mosca) di David Cronenberg (unghie comprese). Del resto, nella scena al ristorante in cui Harvey licenzia Elisabeth, in un bicchiere di vino si muove proprio una mosca
  • Il climax finale sanguinolento di The Substance ricalca con una certa consapevolezza l’epilogo truculento e tragico di Carrie (Carrie lo sguardo di Satana) di Brian De Palma.
  • Le deformità fisiche del clone di Sue ammiccano a quelle del personaggio principale di The Elephant Man di David Lynch
  • I dettagli dell’occhio della Elisabeth stesa sul pavimento del bagno del suo appartamento, poco prima e durante il processo di clonazione, sembrano un evidente omaggio alla scena dell’assassinio di Marion Crane in Psycho di Alfred Hitchcock
  • La ripresa televisiva ravvicinatissima ed estremamente sensuale delle labbra di Sue durante la registrazione del suo programma richiama una scena similare in Videodrome di David Cronenberg
  • Shining di Stanley Kubrick è un film che ha ispirato in più di un passaggio The Substance: il bagno degli uomini in cui la protagonista ascolta la telefonata di Harvey, ad esempio, omaggia nell’alternanza tra bianco e rosso e in alcuni dettagli dell’arredamento il bagno in cui Jack Torrance incontra il vecchio custode dell’Overlook Hotel, Delbert Grady; il corridoio dell’edificio della stazione televisiva in cui sono appesi i poster di Elisabeth ricorda molto da vicino i corridoi dell’Overlook Hotel; a un certo punto del film la Elisabeth all’ultimo stadio di invecchiamento viene inquadrata dal basso mentre tiene chiusa una porta, un chiaro omaggio all’inquadratura praticamente identica del Jack Torrance confinato nella dispensa dell’albergo in Shining
  • Le piastrelle quadrate bianche che si vedono nel bagno dell’appartamento della protagonista sono uguali a quelle del pavimento della camera da letto in cui si svolge una delle ultime scene di 2001: A Space Odyssey (2001 Odissea nello spazio) di Stanley Kubrick.

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