Bureau B ristampa nel 2024 “Martin Rev”, il primo disco in solo di Martin Rev uscito originariamente nel 1980. Come recuperare la lezione dei Suicide e aggiornarla, collezionando layout musicali fuori dagli standard estetici più convenzionali

Il Sorcerer Sound era uno studio con un multi-traccia da otto canali, così usai quello che avevo a disposizione e registrai i brani in quello studio. Il disco riflette un tipo di sound della New York di allora, ma anche possibilità legate esclusivamente al suono che non avevo mai sperimentato con i Suicide
Martin Rev, “Dream Baby Dream – Suicide: a New York Story”
Sembra proprio di vederlo il Martin Rev del 1980 – anno di uscita di questo primo album in solo del musicista – baloccarsi con il suo armamentario di sintetizzatori economici, drum machine analogiche ed effetti cercando di definire il limite creativo di quell’approccio istintivo da sempre marchio di fabbrica del newyorkese. Leggendo la citazione che fa da introduzione a questo articolo saremmo portati a pensare al risultato come a qualcosa di profondamente diverso da ciò che era stata fino ad allora la sua band, ovvero i Suicide – che in quel momento aveva all’attivo l’omonimo esordio del 1977 e il secondo disco Suicide: Alan Vega and Martin Rev pubblicato proprio nel 1980 – e invece la materia musicale alla base di questo album rimane innegabilmente ossessiva e catartica, seppur con un focus leggermente decentrato rispetto alle alienazioni più ortodosse della formazione americana.
L’assenza quasi totale di parti cantate – a parte una Baby O Baby in cui Rev si limita a ripetere poche parole – garantisce semmai al Nostro la possibilità di lavorare con ancora più coerenza sul versante della reiterazione delle strutture armoniche, lambendo in alcuni momenti lo spirito affine di quella che sarà di lì a poco la techno. Cambiano gli sviluppi formali però, in un sound che con le sue meccaniche solide ma angolari sembra citare nel contempo dei Silver Apples calati nel mood decadente della New York dei Settanta e il krautrock tedesco, con l’aggiunta di una tonnellata di kitscherie psych-space tipiche del personaggio Rev.
La Mari dedicata alla moglie del musicista, con il suo intreccio di sintetizzatori ariosi, empatici e in puro stile bubblegum music, fa da apripista irresistibilmente “pop” a un disco il cui tono generale sarà invece plumbeo e piuttosto claustrofobico. A partire dalla già citata Baby O Baby, in cui un salmodiare dimesso e circolare incentrato su un riff di pianoforte diventa la scusa per uno “sfrigolare” di sintetizzatori in stile videogame arcade, o magari da una Nineteen 86 o una Jomo che per attitudine non avrebbero sfigurato in un disco dei Cluster.
Gli elementi che più caratterizzano il primo album da solista di Martin Rev sono da un lato il recupero dell’esperienza musicale dei Suicide e dall’altro il collezionare all’interno dei brani layout musicali diversissimi tra loro – compreso il suono delle campane che si ascolta in Nineteen 86 – in un contesto strumentale già di per sé atipico e fuori dagli standard estetici più convenzionali. Non c’è la ricerca di un “bello” melodicamente inteso o di una appartenenza estetica consolidata e rappresentativa, in questi brani; semmai si coglie l’idea di aprirsi alle libere associazioni timbriche o a suggestioni apparentemente surreali ma chissà come perfette nella loro incompiutezza.
Accade ad esempio in una Temptation in cui il suono di quello che sembra un glockenspiel diventa parte integrante di una cornice ritmica chiamata a sostenere liquidità psichedeliche e ambient inserite in un ecosistema musicale piuttosto strambo ma comunque funzionante: una texture caratterizzata da una grande urgenza espressiva. Si muove in questa direzione anche la conclusiva Asia, in cui un beat leggermente sincopato, due accordi di pianoforte e un riff di synth riescono a creare un groove potente e affascinante, roba che dei Chemical Brothers altezza Block Rockin’ Beats avrebbero potuto idealmente sviluppare a modo loro.
Sempre sia lodata Bureau B per la riedizione di questo disco – e per tutto l’ammirevole lavoro di ristampe in cui si è spesa sul versante krautrock. L’impressione che rimane dopo vari ascolti è quella di avere tra le mani un piccolo gioiellino che sembra più parte integrante di una possibile storia periferica dei Suicide, piuttosto che di quella del solo Martin Rev. Di certo, un involontario ambasciatore di un’epoca elettrizzante e irripetibile.